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Ospiti del Club volterrano Pamela Gambogi, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana e direttrice delle campagne di scavo sul raro relitto romano, e Massimo Giudicelli, responsabile del team tecnico
Una serata a diretto contatto con i professionisti dell’archeologia, giovedì 19 novembre 2009, nella sede del ristorante Don Beta a Volterra, organizzata dal Club Panathlon, con ospiti d’eccezione la Dott.ssa Pamela Gambogi, Archeologo Direttore Coordinatore Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, e Massimo Giudicelli, responsabile tecnico del team delle campagne di scavo compiute sul relitto romano di Punta del Nasuto a Marciana Marina dell’Isola d’Elba.
L’appuntamento periodico del Club presieduto dall’Avv. Flavio Nuti, che unisce il momento conviviale a quello associativo ed alle conferenze ed agli incontri di approfondimento legate alla cultura ed agli sport internazionali, nei loro aspetti indissociabili, si è sviluppato sul racconto documentale ed esperienziale, incalzante e privo di retorica, che ha calato nel fascino del mare e nei suoi pericoli e regole, quando le ricerche archeologiche si “giocano” sui fondali marini, nella descrizione dei protagonisti degli scavi subacquei, in specifico, sul relitto romano dei dolia, gli enormi contenitori a forma globulare o troncoconica, adibiti al trasporto di generi alimentari e vino, conservati dalle acque profonde per duemila anni, ancora con coperchi e quasi tutti integri.
Oltre i 50 metri di profondità, quella profondità “non raggiungibile dai ladri”, è adagiato, a 65 metri, il relitto di Punta del Nasuto, in loc. Marciana Marina dell’Isola d’Elba, che conteneva i “dolia”, impiegati per il trasporto di vino dall’Italia centrale verso la Gallia, esordisce Pamela Gambogi, quei “doli posti quasi sicuramente sulla nave nel momento in cui la si costruiva” secondo il sistema a chiglia. Data la profondità, si tratta di relitti “abbastanza rari”, raggiungibili con modalità e tecnologie sofisticate, che scoraggia gli atti stessi di depredazione, per cui ancora conservano resti preziosi per il patrimonio archeologico, anche se le navi, una volta sedimentate sul fondo, iniziano la loro distruzione.
“In questo tipo di spedizione”, prosegue la Dottoressa Gambogi, “è molto importante che la barca sia ancorata”, e seguono nell’interessante intervento, gli appunti di archeologia, la distinzione tra le navi medievali i cui depositi di ceramica lasciano poca traccia di sé, e quelle romane, nella considerazione dell’incredibile risorsa rappresentata dal mare della Toscana, “frequentatissimo” già dall’antichità, nel delinearsi di un ritratto del mare però anche quale “conservatore gelosissimo di ciò che accoglie dentro di sé”.
Da qui l’intervento di Massimo Giudicelli, collaboratore della Dottoressa e capo del “Gruppo dei profondisti” della missione di scavo, che inizia la relazione più specificatamente tecnica, nella precisazione introduttiva per cui la competenza del suo gruppo è quella di “prevedere, per quanto riguarda la sicurezza, quasi tutto”. Ed i precipitati per la ricerca in questo campo derivano proprio e principalmente dalle tecniche sportive di immersione: da qui la descrizione delle distinzioni del comportamento, ad alta profondità, dei gas di elio, ossigeno ed azoto, di come l’azoto oltre un certo limite “non fa ragionare bene”, e l’ossigeno che diviene addirittura tossico, per cui la necessità dell’impiego dell’elio che “non influisce sul sistema nervoso”. Ed anche il rispetto fondamentale delle tabelle specifiche, la barca ancorata, con lunga preparazione, su cinque punti, poiché “la barca è la vita” precisa Pamela Gambogi, restituendo un quadro più completo della missione archeologica che obbliga alla sinergia delle scienze, ed alla responsabilizzazione e conoscenza della natura e delle sue regole.
Gli interventi dei relatori sono stati accompagnati dalla proiezione del video documentativo dello scavo “subacqueo”, nella concl
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